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Blade Maurizio Solieri Signature

Tratto da Axe 185




Blade Maurizio Solieri Signature

Maurizio Solieri è uno dei pilastri della chitarra pop rock italiana. Ha “traghettato” sul patrio suolo tecniche e suoni da oltre Manica e oltre oceano, dando fin dagli esordi un tocco riconoscibile alle canzoni di Vasco Rossi e dedicandosi alla sua Steve Rogers Band. La Blade ora lo ha scelto come endorser di questa nuova ascia, disponibile in due versioni: la Solieri Signature Custom Relic (prezzo indicativo d'acquisto rilevato euro 2.050,00), “invecchiata” dal liutaio Fabrizio Paoletti e dotata di due single coil Fender Texas Special e un humbucker Seymour Duncan ’59 al ponte; e la Solieri Signature Standard oggetto del nostro test, tutta sostanza e dalle più miti pretese economiche.

 

WOW, CHE BATTIPENNA...

La chitarra deriva direttamente dal modello Texas Pro della Casa fondata da Gary Levinson alla fine degli Anni ’80 mettendo insieme un design ricercato e una costruzione accuratamente realizzata in Oriente, zona di probabile provenienza (non dichiarata) anche dello strumento in prova. Oltre che per la firma dell’endorser sulla paletta, la Solieri si differenzia dalla Texas Pro per l’assenza del circuito di EQ VSC (Variable Spectrum Control) e l’adozione di un humbucker MS Custom con bobine nero/crema al ponte. I due singoli al manico e al centro sono i VS-1 della Casa. Dal punto di vista estetico spicca il battipenna in ottone antichizzato dal particolare mix di toni dorati e ramati; ospita un foro che il bravo DIY potrà trasformare nella sede per un mini-switch addetto, ad esempio, allo split dell’humbucker. Invecchiati artificialmente anche altri elementi dell’- hardware, come il bel ponte a 6 viti in stile vintage, la mascherina della presa jack e le manopole zigrinate dei controlli master di volume e tono. Cromate invece le ottime meccaniche in classico stile Kluson.

 

MANICO VELOCE

Il body è costruito in white teak, nome commerciale della Gmelina Arborea, specie molto diffusa in Asia e adibita a diversi usi, dalla costruzione di mobili e strumenti musicali alla nautica. Ben stagionato, questo legno offre stabilità, risonanza e leggerezza, che tuttavia non sembra l’arma migliore dello strumento in prova, dal peso di kg 3,760, non tanto ma neppure una piuma per essere una strat style... Il manico è in un sol pezzo di buon acero canadese; ha una comodissima sezione a C che parte quasi a soft V e va progressivamente schiacciandosi verso il 12° tasto. Lo foggia della cassa è tipicamente strato, con un’accentuata smussatura intorno alla zona del tacco, peraltro obliqua, sempre per favorire l’accesso alla parte alta della tastiera. Questa è in un bel palissandro, chiaro ma dalla venatura compatta. Buona la lavorazione del capotasto e buona anche la finitura dei tasti medi, con giusto un po’ di margine per il miglioramento sui bordi. La finitura dello strumento è poliuretanica, satinata e saggiamente leggera; sulla cassa la lucidatura appare incompleta come a dare il fascino di uno strumento usato o non del tutto finito. Peculiarità Blade non tradite da Solieri, l’abbassa-cantini passante regolabile sulla paletta, e il comodo sportellino a fine tastiera che dà accesso al punto di regolazione del truss-rod.Passiamo al circuito elettrico, che, come detto, si avvale di due pickup single coil e un humbucker, serviti da switch a 5 posizioni, controlli di volume e tono master. Svitando il battipenna, si nota la presenza di uno scavo per humbucker anche al di sotto del pickup al manico, ancora per la gioia dei “fai da te”. La cavità è interamente schermata. I potenziometri sono entrambi da 250 kOhm; interessante l’adozione di un condensatore al poliestere da 0.1 microFarad, come sulle prime Fender Stratocaster degli Anni ’50; rispetto al più diffuso 0.047 microFarad potrebbe conferire un timbro più caldo ai single coil (ma anche all’humbucker) e, di certo, un’azione più decisa del tono. Vedremo... Per quanto riguarda le resistenze degli avvolgimenti, rileviamo valori nella tradizione: 6,3 kOhm per entrambi i singoli e 8,3 kOhm per l’humbucker. Sin qui si delinea una classica ascia da rock, molto ben costruita, con alcuni elementi caratterizzanti portati dall’endorser e tutte le qualità care soprattutto all’hard rock Anni ’80. Il ponte è regolato a battuta sul top. L’action dello strumento così com’è arrivato, con le corde .010-.046 di serie è, a gusto di chi scrive, ottimale: bassa, ma non con le corde “serigrafate” sulla tastiera! Cominciano a tremarci le dita...

 

DOCILE E CANTERINA

Le prime note della Blade Solieri a suono pulito sono piene, ringing e classicamente strato. La sonorità del white teak somiglia a quella dell’ontano (del quale avrebbe più o meno lo stesso peso specifico medio), ma, almeno sullo strumento in prova, la risonanza pare spostata più in basso, con maggiore enfasi sulle medio-basse e alte un po’ velate. Un suono “robusto” già nei clean, insomma. I single coil Blade sono di buona qualità, con una dinamica davvero rispettabile e una resa sorprendentemente profonda delle esecuzioni articolate; come per ogni buona stratoforme, si avverte la presenza di “metallo” nel suono, anche se manca quella sorta di scintillio sui cantini che qui appaiono un po’ statici, sia dal punto di vista dinamico che timbrico. L’humbucker, anch’esso asservito al tono master, è robusto e ricco di medie, tendenzialmente anche un po’ “nasale”, ma in senso buono, e tutto sommato equilibrato nel funzionamento con gli altri due; azzeccata anche la posizione intermedia dello switch che lo vede all’opera con il pickup centrale. Non senza sorpresa, rileviamo tracce consistenti di quel gradevole e ricercato “birignao” sulle corde avvolte tipico dei pickup PAF. Operando sui controlli della chitarra, va annotata la bruschezzainiziale dell’apertura del volume e la chiusura drastica del tono, del resto attesa, soprattutto con l’humbucker. In ogni caso, un comportamento generale sin qui più che positivo, direi da strumento di fascia anche superiore. Questa Texas si lascia imbracciare e suonare con docilità, le note “cantano” e il sustain è buono, la tastiera non soffre di punti morti, anche se oltre il 12° tasto si perde in parte la rotondità degli accordi; visti i single coil, lo strumento è poi ragionevolmente silenzioso, l’accordatura è stabile anche sotto un ragionevole uso del vibrato.

 

VOGLIA DI CRUNCH

Passando ai suoni distorti, diciamo subito che la Blade Solieri quasi “esige” ampli e coni in stile British, situazione in cui si avvale dello svuotamento di medie fornito dall’amplificazione ed esibisce ottime sonorità da moderatamente crunch a ben distorte, purché non si ecceda con la saturazione. L’apporto sul timbro dell’endorser si sente nel suono grosso e un po’ scuro, ottimo in crunch e con gli effetti; ci sembra la dimensione ideale per questa chitarra, adatta a blues, rock-blues e hard rock, per passare da Hendrix a Van Halen senza cambiare strumento, che poi è il grande vantaggio offerto dalle cosiddette superstrat. Proprio in questo senso, a voler essere pignoli, avremmo preferito dei tasti di una misura in più, mentre troviamo equilibrata la scelta dei pickup; forse, solo per i power chord ci vorrebbe un po’ più di birra. Il controllo di tono agisce su tutti e tre i pickup e permette in effetti di smussare efficacemente e con progressività qualsiasi eccesso di asprezza, fino a rendere praticamente soffocato l’humbucker al ponte. La Solieri Signature è fornita con una bella custodia imbottita marchiata Blade. Si tratta di uno strumento professionale e di qualità, con un buon rapporto qualità/ prezzo. Perfetta per accompagnamenti con accordi in stile rock e assoli alla Jeff Beck suonati con le dita e la leva in palmo di mano. I pickup di serie sono adeguati, ma la sostituzione con altri di classe più elevata potrebbe metterci in mano un’ascia sorprendente. Il nostro video test qui...

Fabrizio Dadò

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