immagine rappresentante un’intervista

MICHAEL ROMEO


Tratto da Axe 127, Dicembre 2007
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Non fosse per la lunga chioma che gli scende oltre le spalle, non conoscendolo, non darebbe l’idea di essere uno dei più acclamati armigeri del terzo millennio e a differenza dello statunitensizzato svedese, che citerà tra le sue muse, amante dei prodotti delle nostrane viti, non pare minimamente intenzionato a seguire regimi alimentari ipocalorici di nessun tipo…

Ma se l’abito non fa il monaco, figurarsi se il peso fa il chitarrista, e Michael Romeo, nato a New York City quasi 39 anni fa, di chiare origini italiane come straordinariamente succede per il quasi intero gotha chitarristico rock/metal, chitarrista lo è, eccome; anzi, non gli basta essere uno dei più ammirati e famosi dell’attuale panorama metal, ma è anche il principale compositore, arrangiatore e produttore della band Symphony X.

Il gruppo, originario del New Jersey, ha pubblicato e distribuito a livello mondiale a fine giugno la sua ultima fatica Paradise Lost, nono album in ordine cronologico dopo Symphony X (1994), The Damnation Game (1995), The Divine Wings Of Tragedy (1997), Twilight In Olympus (1998), la raccolta Prelude To The Millennium (1998), V: The New Mythology Suite (2000), il doppio dal vivo Live On The Edge Of Forever (2001) e The Odissey (2002).

Incontriamo Michael appena sceso dal palco del Gods of Metal 2007 in quel del parco dell’Idroscalo di Milano, dove ha letteralmente infiammato gli appassionati insieme ai fidati compagni Russell Allen, voce, Michael Lepond, basso, Michael Pinnella, tastiere e Jason Rullo, batteria. Ancora un po’ “rinco”, per sua ammissione, per gli effetti del fuso orario, ma contento per la performance offerta, inizia l’intervista con il solerte manager che si raccomanda di non superare i venti minuti a nostra disposizione. Nonostante fossimo a Milano e non a Teano… Obbediremo!

Partiamo dall’analisi del tempo trascorso dal vostro ultimo album: sono passati cinque anni, durante i quali Russell ha pubblicato un album solo [Russell Allen’s Atomic Soul, 2005] e due [The Battle e The Revenge] in coppia con il suo collega Jørn Lande; Michael Pinnella ha pubblicato il suo disco solo [Enter By The Twelfth Gate, 2004], nel quale tu collabori piuttosto fugacemente… A parte tale collaborazione con Michael e il mettere la tua sei corde al servizio di Timo Kotipelto [il cantante dei finnici Stratovarius, che ha voluto Michael nei suoi due CD solisti Waiting For The Dawn, 2002, e Coldness, 2004; nda], nessun progetto solista o parallelo… Michael, che cavolo hai fatto tutto ‘sto tempo!?Ho scritto questo disco! [Lo dice quasi risentito, fino a che vede il nostro sorriso, capendo la voluta provocazione e sorridendo a sua volta; nda]. Gli ho dedicato tutto il mio tempo. Da quando abbiamo cominciato a pensare al CD, abbiamo immediatamente stabilito che sarebbe stato un lavoro a forte impronta chitarristica, heavy riff oriented, e - non importava quanto tempo fosse occorso - doveva essere il migliore mai inciso. In aggiunta, è stato registrato nello studio che ho allestito a casa mia, quindi oltre al lavoro di scrittura, mi sciroppavo varie mansioni tecniche per settare ora le batterie, ora gli ampli, incidere le mie parti, ovviamente… Insomma, un lavoro assai impegnativo!

È consolidato il fatto che tu e Michael carichiate la maggior parte del peso compositivo sulle vostre capaci spalle… È stato così pure per Paradise Lost?Stavolta no, direi che mi sono accollato al 95% il peso delle composizioni, ma, come ho detto, era quello che volevamo,la direzione concordata fin dal principio. Vi sono parti dove Mike ha collaborato soprattutto nella ricerca di colori, atmosfere particolari, parti orchestrali e cori per “imbottire e guarnire” i riff di chitarra, ma davvero il 95% è opera mia…

Dai primi ascolti dell’album, ho avuto come l’impressione che si trattasse di un “best of”, nel senso che la qualità dei pezzi mi è parsa ottima dalla prima all’ultima traccia… Sì, sì, abbiamo lavorato davvero duramente per raggiungere questo scopo, su ogni singola traccia. Suona esattamente come un nostro album, ma sempre un “po’ più”… Un po’ più aggressivo, un po’ più riff oriented, un po’ più melodico…

Quando hai cominciato a scrivere?Cominciammo a parlarne seriamente nel 2004, mi pare. Cercammo la direzione giusta e cominciai a scrivere, poi partimmo in tour con i Queensrÿche; successivamente scrissi altro materiale, dopo di che non potemmo non saltare sul carrozzone del Giant Tour con Dream Theater, Megadeth, Nevermore e compagnia bella. Un’opportunità troppo grande… Non volevo però nemmeno perdere completamente la possibilità di scrivere durante il tour e devo dire che i ragazzi del crew sono stati gentilissimi e pieni d’attenzioni, cercando sempre di creare un’area insonorizzata dove potermi concentrare, mentre gli altri sbevazzavano e si divertivano [sorride]. Alla fine del Giant Tour, decidemmo che ci saremmo concentrati esclusivamente sulla lavorazione dell’album.

Durante il processo compositivo hai seguito sempre la direzione che ti eri preposto o è capitato che a volte fosse la musica stessa a mostrarti la via? All’inizio avevo come un enorme blocco di marmo da scolpire, costituito da riff. Arrivammo mesi dopo a un punto dove la maggior parte dei pezzi erano praticamente strutturati e discutemmo sull’opportunità d’inserire o meno una suite… Pensammo d’inserire parti più scure e parti più liriche in Paradise Lost, ma quest’idea non veniva accettata dal mio subconscio. Ci pensavo e ripensavo, ascoltavo il pezzo e non avevo mai la sensazione tipo: “Ecco, qui potremo inserire una parte x o una parte y…” Poi fu il turno di altri brani. Terminai questa fase con una convinzione assoluta: non avevamo bisogno di nessun brano lungo [intendendo lungo in chiave prog metal, le tipiche suite da venti minuti e oltre; nda], i pezzi andavano bene così com’erano.

Quale delle tracce dell’album senti più vicina a te e perché? Mi è praticamente impossibile prenderne una sola… Probabilmente Set The World On Fire. È aggressiva e amo la chitarra di quel pezzo; ma, allo stesso tempo, direi The Serpent’s Kiss, di cui mi piace molto il riff, con quel sapore sabbathiano e una produzione e arrangiamento che mi soddisfano completamente… E sicuramente l’intro orchestrale Oculus Ex Inferni, una delle parti su cui mantenevo delle riserve; ma, una volta definito Paradise Lost, ecco che le riserve si sciolsero. Iniziammo a jammarci sopra e rapidamente arrivammo alla stesura finale. Adoro questo genere di brani ricchi di atmosfere oscure, horror…

Sei uno tra i chitarristi più famosi e ammirati dell’intero scenario metal… Chi devono ringraziare, famiglia d’origine a parte, i tuoi fan per averti fatto “scattare la molla”? La più grande fonte d’ispirazione è stata senza dubbio Randy Rhoads. Mi ha fatto letteralmente esplodere la voglia di suonare. Quel suo stile così particolare, unico, sospeso tra rock, metal e musica classica mi ha colpito come un meteorite. Credo ci sia una non sottovalutabile componente di vissuto personale nella forza di quell’impatto: quella concernente i miei studi classici di pianoforte in tenera età. Randy aveva tutto. Grandi frasi, grandi soli, grandi riff, grandi strutture… Il più grande. Non posso tralasciare altri grandi come [Yngwie] Malmsteen in primis, con quell’incredibile insieme di tecnica e passione, [Al] Di Meola e il suo plettraggio pazzesco, Paul Gilbert e le sue acrobazie, Uli Jon Roth e Marty Friedman con il loro vibrato, Allan Holdsworth e il suo incredibile legato… Ce ne sono davvero tanti e di sicuro ne sto dimenticando qualcuno… Frank Gambale, grandissimo!

Riascoltando i tuoi passati lavori da Symphony X a Paradise Lost e analizzando il tuo modo di suonare, quali sono le maggiori differenze che noti con quello attuale? Direi che sono passato da un approccio maggiormente neoclassico/malmsteeniano a un’impostazione più allargata che, pur mantenendo una forte componente neoclassica, suona più metal, più progressive.

Immagino che avrai passato incalcolabili quantità di tempo sullo strumento per raggiungere questi livelli… È ancora così? Be’, rispetto agli anni passati la situazione è parecchio cambiata… Ora vado a fasi, nel senso che quando comincio a scrivere pezzi per un nuovo disco, ecco che automaticamente mi trovo a suonare tutto il giorno. Quando passiamo a registrare poi, oltre a suonare, mi incarico di registrare le parti dei miei compagni e la mole di lavoro si fa monumentale.

Quindi possiamo dire che ti tieni oliato suonando… Direi proprio di sì… Non si può definire studio vero e proprio. Anche prima dei tour, quando ci troviamo per le prove si suona molto. Ecco, diciamo che prima di queste prove, allora sì, studio, ma un paio di giorni al massimo… È come andare in bici [sorride].

Qualche Occupiamoci ora delle tue “armi di ricreazione di massa”. Prima in studio e poi dal vivo… Sono recentemente passato alla Caparison, dopo aver suonato per anni una vecchia Kramer di cui amavo particolarmente il manico, che aveva un’incredibile scorrevolezza. Quando la Caparison mi ha contattato, gli ho subito chiesto se avrebbero potuto replicarmi esattamente quel manico, stesso spessore, stesso radius. Alla risposta affermativa, abbiamo dato il via al sodalizio, il cui prodotto finale è la Signature Dellinger II. Riguardo agli ampli ho tonnellate di roba [in realtà usa un tipico sostantivo organico, molto in voga nello slang rock statunitense; nda]. In studio ho un Marshall JCM 800, un Engl Fireball, un Madison, un Crate, un Line 6; per registrare uso differenti combinazioni. Dal vivo mi trovo benissimo col Line 6 e la testata Vetta… Sì, lo so, c’è un mucchio di gente che non vede di buon occhio questa combinazione… Ti dicono: “Mmm, non mi convince” oppure “Ehi, ma non è valvolare…” Va bene, non è valvolare, e allora? Per me va assolutamente bene ed è versatile come nessun altro sistema. Schiacci un pedale e hai tutto quello che ti serve, subito.

Arriviamo al momento topico per ogni guitar hero… i soli. Come ti ci rapporti?Non ho una routine consueta, anche se il più delle volte mi piace arrivare in studio con un paio di versioni scritte in anticipo; ma può darsi che le ignori e improvvisi totalmente. Non sono il tipo del “buona la prima o la seconda”… Capita, ma raramente. Di solito devo lavorarci sopra di più. Ascolto, tengo le idee che mi piacciono e lavoro sul resto fino a esserne soddisfatto.

Penso che la totalità dei vostri fan sarebbe entusiasta di una vostra performance dal vivo con un’orchestra… Ne avete mai parlato tra di voi?

Sei appena sceso dal palcoscenico. Dacci le tue sensazioni a caldo riguardo alla vostra prestazione e alla risposta del pubblico…Grande! Nonostante la mazzata del fuso orario, ho la netta sensazione che abbiamo offerto una prestazione molto buona [confermiamo, nda]. Anome della band, siamo molto contenti della risposta dei fan: davvero calorosa! Comunque la nostra attitudine sul palco, nonostante la nostra musica non sia tra le più semplici da suonare, è molto rock; cerchiamo prima di tutto di divertirci e conseguentemente di divertire, senza ovviamente prescindere dalla qualità della prestazione, tecnicamente parlando. Siamo insieme da tanto tempo e soprattutto siamo veri amici e questo vuol dire molto…

Cosa ti piace di più e cosa di meno in questo tipo di eventi musicali?Be’, l’aspetto positivo, riferito a oggi, è il tempo! Fortunatamente è cambiato! [Il diluvio del 2 giugno con temperature a livelli autunnali verrà ricordato a lungo dai partecipanti alla prima giornata del Gods of Metal 2007; nda]. L’aspetto meno piacevole, in manifestazioni come questa, è che hai solo il tempo di attaccarti e suonare. Un po’ di sound check come si deve non guasterebbe, ma che vuoi farci… Bisogna salire belli carichi e dare tutto se stessi… Rock and roll! [Ride].

È notizia ufficiale: aprirete il tour europeo dei Dream Theater in autunno [lo scorso novembre, per chi legge; ndr]… Come sono i rapporti tra voi?Ottimi. Come ho detto prima, abbiamo condiviso il palco del Giant Tour. Non potrei che dire bene di loro, sono musicisti strepitosi, ma sono altrettanto strepitosi come persone, soprattutto considerando il livello di fama mondiale raggiunto. Credo che per i fan sia una bel “pacchetto”, so che molti amano entrambe le band.

Hai pubblicato il tuo primo e finora unico album solista, The Dark Chapter [1994], suonando e programmando tutto al di fuori di un intervento di Michael alle tastiere in Paganini - Concerto In B Minor. Non sarebbe ora, non dico di pubblicarne un altro, ma almeno di cominciare a pensarci…[Ride] Sì, sì, è assolutamente ora! Ho scritto moltissimo e ora che il disco è uscito e che tutti siamo felici, già durante questo tour appena iniziato comincerò a lavorare sui quintali di succosi riff e idee non entrate nelle tracce del CD. Ho la mia chitarra, il mio portatile e sul bus, in hotel, dovunque sia, devo cominciare a mettere insieme musica per il mio secondo album solista…

Romeo, Pinnella, Rullo… Per noi italiani sono cognomi famigliari. Possiamo parlare di una famosa prog metal band italo/americana?Come no! I miei nonni sono arrivati dalla Sicilia! Non siamo capaci di parlare la vostra lingua, ma abbiamo ancora parenti qui e - non è per fare il ruffiano - ma suonare in Italia ha un sapore senz’altro particolare!

Guglielmo Malusardi