Cover di There's Hope, Marco Sfogli

Marco Sfogli

There’s Hope

Lion Music 2008

Tratto da Axe 132, Maggio 2008
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There’s Hope è il primo album solista di un chitarrista italiano che ha già avuto modo di farsi conoscere all’estero, soprattutto per la presenza su Elements Of Persuasion, album solista del cantante dei Dream Theater James LaBrie; ma non solo, avendo registrato anche con Jordan Rudess, sempre dello stesso gruppo. Stiamo parlando di Marco Sfogli, chitarrista capace delle più ardite forme di tecnicismo che si possano immaginare, ma sempre attento a mantenere nel contempo un alto contenuto melodico nella composizione.

Su quest’album abbiamo da ascoltare gran parte delle possibilità stilistiche che la chitarra elettrica ci offre, senza limite di genere musicale e con arrangiamenti che permettono anche agli altri strumentisti di farsi apprezzare a dovere.

L’aria che si respira resta comunque legata all’hard rock di stampo progressive, soprattutto nelle sonorità, con ambientazioni piuttosto dilatate spesso ravvivate dall’utilizzo di divisioni ritmiche non necessariamente comuni, diciamo pure dispari.

I suoni sono curati con grande competenza, così come le composizioni che, pur esponendo tematiche armoniche sempre diverse, riescono a mantenere una coerenza sulle sonorità che spesso va persa proprio quando si cerca di variare più del lecito.

I brani sono tutti di alto livello compositivo, per cui non è il caso di citarli uno a uno. Una menzione particolare però va all’ultima traccia, Texas BBQ, che, dal nulla, ci stravolge con un country sfrenato suonato molto bene e con soluzioni tecniche da capogiro. Decisamente l’outsider dell’album. Sfogli dichiara di non essere un chitarrista country, e dice di aver incluso questo brano per chiudere in allegria il disco. Intento riuscito, perché alla fine si ripone il CD nella custodia con l’impressione di aver ascoltato qualcosa di piacevole e rallegrante.

Una cosa va detta chiaramente: il livello tecnico che ha il nostro sullo strumento è altissimo, semplicemente spaventoso, con una ricerca dei dettagli espressivi che fanno finalmente passare la voglia di pensare a chi suona “veloce e basta”. Marco è in grado di suonare in velocità tutte le tecniche con invidiabile maestria, non fermandosi alle divisioni ritmiche più comuni, ma creando fluide ondate di note ricche di accenti messi nei punti più impensabili.

Se ci piacciono i Dream Theater, l’hard rock-progressive, un po’ di funk e, perché no?, anche il country (e magari siamo anche chitarristi), probabilmente l’ascolto di quest’album andrebbe visto come un dovere. Se invece non apprezziamo questo tipo di musica, il che non è reato, resterà comunque un’ottima opportunità per aggiornare l’orecchio sui nuovi modi di andare veloci in maniera musicale e sensata; il che non è poco.

Alessandro Riccardi




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