Indice articoli

I RE DEL BLUES

Albert, B.B. e Freddy King


Tratto da Axe 86, Marzo 2004
Acquista l'arretrato!




Riley B. King, Albert King e Freddy King: è facile accomunarli, pensando al blues, a causa della condivisione di un nome che, in realtà, non è affatto casuale.

Tutto, a questo proposito, nasce da Riley, l'unico il cui cognome sia davvero King e il primo ad avere successo con le sue incisioni, cosa che ha ispirato Freddy Christian e Albert Nelson a spingere la loro ammirazione al punto di assumere come artisti, l'uno senza sapere dell'altro, il cognome del loro eroe. A saldare insieme in un vero triumvirato del blues i tre chitarristi, contribuiscono, poi, le dichiarazioni e le evidenze stilistiche espresse dai loro giovani colleghi inglesi durante l'esplosione del british blues. Da Eric Clapton, Peter Green, Mick Taylor, Jeff Beck, Jimi Hendrix e poi Jimmy Page, Paul Kossof, fino a Stevie Ray Vaughan, giungendo a John Scofield o Robben Ford, un numero enorme di stilisti fa riferimento a questi tre bluesmen, i cui fraseggi sono confluiti negli stili di tali celebri successori formandone, di fatto, le basi.

All'epoca della Swingin' London, quando i Bluesbreakers costituivano il nocciolo di una vera scuola di blues che avrebbe gettato le fondamenta per il rock del decennio successivo, per un chitarrista non esistevano possibilità d'ingaggio se non aveva in repertorio brani dei tre King, vero banco di prova per potersi fregiare del titolo di chitarrista blues. The Stumble, Driving Sideways, Hideaway di Freddy King, Three O' Clock Blues, Rock Me Baby, Sweet Little Angel, How Blue Can You Get di B.B. King, Laundromat Blues, Born Under A Bad Sign, Oh Pretty Woman, Crosscut Saw di Albert King non sono brani che si possano ignorare e anche i chitarristi delle generazioni successive, che imparano dai vari Clapton, Jimmy Page o Stevie Ray, anche se non ascoltano gli originali, ne ripetono gli elementi essenziali attraverso le incisioni di quei rocker, nei solchi dei cui dischi riaffiorano di continuo rimescolati e reinterpretati. I tre King hanno, in realtà, stili molto diversi, accompagnati da contesti musicali, per quanto riguarda arrangiamenti e modo di cantare, che sebbene partano da una cultura comune, si differenziano sempre più, nel corso degli anni, ma messi insieme sembrano perfettamente complementari, fornendo un catalogo di elementi che risultano utilissimi nel formare uno stile personale completo, attingendo da Freddy per fraseggi di puro stampo fiatistico, che ha le sue radici nell'opera di T-Bone Walker, mentre da Albert si ha un influsso più soul nello spirito ma condito con arrangiamenti tipicamente rhythm & blues, cogliendo da Riley B.B. la fusione fra elementi che si riallacciano al blues del Delta con quelli più propriamente swing delle grandi orchestre.

Pur nella loro innegabile individualità, i tre artisti sono sempre molto attenti a seguire il lavoro dei colleghi, in una sorta di fraterna competizione a distanza, suggerendo quasi, almeno sul piano ideale, ciò che i chitarristi inglesi evidenziano nell'incorporare frammenti dei loro diversi stili, cioè il rappresentare tre facce di uno stesso concetto di blues, sospeso fra retaggi del Delta e suggestioni di Chicago con l'aggiunta di componenti regionali caratteristiche.


Albert King

Il più anziano dei tre è Albert King, ma la sua affermazione avviene dopo quella di B.B., con una lunga gavetta iniziata da fanciullo, con una chitarra costruita partendo da una scatola di sigari per formare la cassa, imparando brani di Blind Lemon Jefferson e Lonnie Johnson. Nato a Indianola, Mississippi, il 25 aprile del 1923, Albert Nelson inizia a suonare professionalmente in Arkansas, all'inizio degli anni '50, epoca in cui assume il nome di Albert King ispirato dal successo Three O' Clock Blues di B.B. King, spesso lasciando intendere di essere un cugino del fortunato collega, cosa di cui questi non sembra risentirsi. Dopo un breve ingaggio come batterista di Jimmy Reed e alcune incisioni che non valgono a farlo notare, si trasferisce a S. Louis, dietro suggerimento di Willie Dixon, nella seconda metà del decennio. Acquistata una Gibson Flying V, denominata Lucy, Albert affina il proprio stile, fatto di bending mozza fiato e del vibrato più personale ed espressivo del blues, che viene presto preso a modello da Jimi Hendrix e Mick Taylor e che trova in Stevie Ray Vaughan il più fedele seguace. Nei primi anni '60 raggiunge buone posizioni nelle classifiche R&B con alcuni singoli; incide un album, The Big Blues, con cui inizia a farsi un nome; ma il successo vero arriva nel '66, con un contratto per la Stax e un album inciso insieme ai Booker T And The MG's, con Steve Cropper alla chitarra ritmica: Born Under A Bad Sign, che raccoglie anche i singoli incisi nei due anni precedenti e uscito nel '68, diventa un disco culto per ogni rocker che si rispetti ed è ancora oggi considerato uno dei lavori migliori di Albert King; Eric Clapton in Strange Brew, su Disraeli Gears dei Cream, uscito un anno prima, gli rende omaggio con un assolo che sembra tratto direttamente da Oh, Pretty Woman, uno di quei singoli.

Nell'esempio mostriamo la versione originale.



Il successo del disco e l'ammirazione di personaggi famosi come Clapton, Hendrix, Taylor procurano al gigantesco chitarrista (1,95 m. per 113 kg. di peso) ingaggi non solo di fronte al pubblico di colore, ma anche nelle grandi arene rock, insieme ai Mothers Of Invention di Frank Zappa, Hendrix, i Bluesbreakers, Janis Joplin, B.B. King, facendolo conoscere al pubblico giovanile; nel '68 incide al Fillmore West di San Francisco, tempio della musica rock del tempo, un album dal vivo, Live Wire/Blues Power.

Dopo un album dedicato a Elvis Presley che non incontra un grande favore e altri lavori poco fortunati, nel '72 incide I'll Play The Blues For You, accompagnato dai Bar Keys e i Memphis Horns, che conferiscono un sapore funky agli arrangiamenti, sui quali svetta la chitarra con gli ormai celebri bending inumani e un suono che rimane fra i più imitati (Stevie Ray spicca fra gli altri nel riuscire a catturarne l'intensità). In seguito la carriera prosegue con alti e bassi, Albert si esibisce spesso con accompagnatori occasionali non sempre all'altezza del compito. Dopo alcuni tentativi di rendere la propria musica più commerciale, senza successo, torna a un blues più semplice, continuando a esibirsi instancabilmente; gli anni '80, nonostante l'annuncio di un ritiro dalle scene, lo vedono più attivo che mai e una recente pubblicazione lo presenta in duetto con Stevie Ray Vaughan dal vivo (In Session, 1983).

Rimasto, per quanto sembri incredibile, senza un contratto discografico, disilluso dopo lunghe storie di guadagni negati, diritti mai ricevuti e altre traversie, sul finire degli anni '80, a causa anche del diabete, riduce in parte l'attività manifestando spesso l'intenzione di ritirarsi, senza peraltro mai farlo davvero. Musicisti come Joe Walsh iniziano una vera campagna per riportarlo in sala d'incisione e anche l'ex-Stones Mick Taylor annuncia, all'inizio degli anni '90, il progetto di un disco con il suo vecchio idolo: ma il 21 dicembre del '92, a Memphis, Albert King è stroncato da un attacco di cuore.


B.B. King

Riley B.King (lo stesso artista non è in grado di spiegare per cosa stia la B) nasce il 16 settembre del '25 nel profondo sud del Mississippi, in una località non lontana da Indianola (Itta Bena), cittadina in cui si trasferisce con la madre ancora giovanissimo (il padre, pur avendoli abbandonati, mantenne sempre un ottimo rapporto con il figlio), iniziando presto a lavorare nei campi di cotone. Introverso e affetto da una lieve balbuzie che affiora soprattutto quando è emozionato, il giovane Riley tende a rifugiarsi nella musica, specialmente dopo la morte della madre, avvenuta quando è ancora adolescente, attratto soprattutto da Lonnie Johnson e T-Bone Walker, concentrando sul canto e la chitarra il poco tempo libero. Crescendo si fa apprezzare sul lavoro e viene promosso conducente di trattore, posizione relativamente invidiabile che gli porta una maggiore fiducia in se stesso e i primi successi con le ragazze. Nel '46 il richiamo della musica è più forte che mai e King, ritenendo di avere poche possibilità a Indianola, si trasferisce a Memphis, dove vive il cugino Bukka White, conosciuto cantante blues e slider, che si rivela una preziosa guida musicale e comportamentale. Rientrato brevemente a Indianola, dove ha lasciato Martha, una ragazza sposata prima del suo viaggio, torna a Memphis con la determinazione di farsi valere. Trova lavoro presso una radio locale esibendosi in brevi intermezzi pubblicitari. In quel periodo riceve il soprannome di Blues Boy, presto abbreviato in B.B.

Nel '49 incide i primi brani per un'etichetta di zona, la Bullet Records, fra cui uno dedicato alla moglie, Miss Martha King (vedi esempio), che contiene già l'embrione del suo stile.



Passato alla RPM Records, King entra in classifica con Three O' Clock Blues del '51, iniziando una scalata al successo lenta ma inesorabile. Durante un'esibizione con il suo gruppo, una rissa provoca l'incendio del locale e Riley rischia la vita per salvare la sua chitarra, cui attribuisce il nome della donna per la quale è scoppiato il litigio: Lucille. Da allora ogni chitarra acquistata dal bluesman riceve questo nome.

Nel corso degli anni '50 i successi si susseguono, mentre la chitarra diventa sempre più presente, divenendo una seconda voce; l'arrangiamento fa ormai regolarmente uso di una ridotta ma efficace sezione di fiati. B.B. diviene uno dei bluesmen più noti nonostante il graduale imporsi del rock 'n roll, a causa del quale altri artisti tradizionali iniziano a soffrire cali di vendite e ingaggi. Le difficoltà non mancano neanche per il giovane Riley, ma la sua soluzione è un'incessante attività concertistica che mantiene vivo l'interesse per la sua musica anche se spesso le spese superano le entrate. La vita del musicista perennemente in viaggio, come ammette King nella sua biografia, offre continue tentazioni femminili, cui il bluesman non oppone alcuna resistenza, cosa che provoca la fine del matrimonio, ma che porta, negli anni, un gran numero di relazioni e una numerosa prole (B.B. dichiara di essere sempre riuscito a prendersi cura di tutti e di aver mantenuto ottimi rapporti con ogni donna e con tutti i figli, impresa certo notevole!).

Il successo di vendite di Sweet Sixteen nel '60 aiuta King a rimanere in carreggiata e a incidere nel '64 Live At Regal, disco che diventa una sorta di bibbia per chitarristi rock come Clapton o Michael Bloomfield, e fa conoscere B.B. anche al pubblico bianco giovanile. Se il favore dei musicisti rock porta prestigio a King e la sua musica a un pubblico più vasto, è indubbio tuttavia che il successo del rock non si traduce in maggiori benefici economici per i bluesmen. B.B. deve di nuovo cercare di affermare uno stile che non può competere, come impatto, con i suoni aggressivi in voga in quegli anni; la sua risposta, contro corrente, è la ballata The Thrill Is Gone, che diventa, nel '69, uno dei suoi maggiori successi. Negli anni '70 influssi jazz e rhythm and blues condiscono la sua musica, di base sempre piuttosto semplice, e King resta sulla cresta dell'onda, con l'unica eccezione di un disco country che si rivela un autentico disastro.

Con un'attività che annovera circa trecento concerti l'anno, la carriera di B.B. King non sembra conoscere momenti di pausa e negli anni '90 una serie di duetti con Tracy Chapman (una bella versione di The Thrill Is Gone), Bonnie Raitt, Eric Clapton, Van Morrison e altri in Deuces Wild riscuote un buon successo commerciale; ma il disco nel quale ritrova l'energia e lo spirito dell'inizio, con la chitarra presente e puntuale, la voce in gran forma e arrangiamenti eccellenti per misura ed efficacia è Let The Good Times Roll, The Music Of Louis Jordan dedicato a un celebre band leader degli anni '40 considerato da molti artisti degli anni '50, come lo stesso B.B., Freddy King e Chuck Berry, la maggiore fonte d'ispirazione e l'inventore dello stile jump blues, mistura di blues e jazz. Riding With The King (2000), con Eric Clapton, proietta il bluesman nel nuovo millennio più in forma che mai. Intanto i vecchi titoli sono riproposti insieme a un numero incalcolabile di antologie e B.B. King sembra animato da nuove energie anche se le sue proposte non hanno più un carattere particolarmente innovativo.


Freddie King

Freddy King, vero nome Freddy Christian, nasce a Gilmer, nel nord est del Texas, il 3 settembre del '34, ma ancora adolescente si trasferisce con la famiglia a Chicago. I primi passi sulla chitarra sono incoraggiati dagli insegnamenti dei genitori, ma è a Chicago che il sedicenne Freddy trova l'ambiente nel quale nutrire la sua passione, seguendo i concerti di Muddy Waters, Robert Jr. Lockwood, Howlin' Wolf, Eddie Taylor e altri musicisti allora in voga. Il ragazzo non tarda a esibirsi con vari gruppi e si fa notare abbastanza da suonare anche in sessioni presso alcune case discografiche, inclusa la celebre Chess. Ma il primo singolo a proprio nome arriva solo nel '57, con il brano Country Boy. Il disco non fa molta strada nelle classifiche, ma Freddy persevera e nel '60, con You Got To Love Her With A Feeling le cose vanno molto meglio. Con il singolo seguente, I Love The Woman, è inaugurata una caratteristica di King, accoppiare al lato A, cantato, un lato B strumentale, nel caso specifico con il brano Hide Away, il cui successo è tale che non c'è gruppo di blues che possa esimersi dal metterlo in repertorio: qualche anno dopo Eric Clapton rinnova l'entusiasmo incidendone una sfavillante versione con i Bluesbreakers e facendone il suo momento speciale negli spettacoli con John Mayall. Clapton inaugura una tradizione nei Bluesbreakers e, da quel momento, ogni chitarrista ha il suo attimo sotto i riflettori eseguendo un brano strumentale di Freddy King, Peter Green con The Stumble, Mick Taylor con Driving Sideways.

All'epoca, metà degli anni '60, King ha pubblicato diversi singoli e un album di soli strumentali, Let's Hide Away And Dance Away With Freddy King: Stricty Instrumental, che contiene, oltre ai già citati Hide Away e The Stumble (vedi esempio)…



… altri brani destinati a diventare celebri, come Sen-Sa-Shun, San-Ho-Zhay e Just Pickin'. Oltre agli strumentali, King pubblica anche blues cantati che entrano, a loro volta, nel repertorio dei colleghi americani e inglesi, come I'm Tore Down, Someday After A While (You'll Be Sorry), ripresa dai Bluesbreakers con Peter Green, Have You Ever Loved A Woman, che diventa uno dei momenti più intensi dell'album Layla And Other Assorted Love Songs di Clapton con Duane Allman. Nel '65 un nuovo album strumentale, Freddy King Gives You A Bonanza Of Instrumentals, che ottiene un successo più tiepido rispetto al precedente, ma intanto la carriera prosegue con un'intensa attività concertistica che lo porta anche in Europa. Dopo un paio di dischi prodotti da King Curtis, nel '70 firma con l'etichetta di Leon Russell (Shelter Records) incidendo tre album che ottengono un buon successo commerciale e nel '74 passa alla RSO per la quale incide Burglar, un long playing con Eric Clapton. Nel '75 incide, sempre per la RSO, Larger Than Life, ma comincia ad avere problemi di salute, anche se non sembra intenzionato a diminuire l'attività concertistica. Il 29 dicembre del '76, tuttavia, già sofferente di ulcere, muore d'infarto.


I 3 King

Tutti e tre i King hanno avuto carriere difficili, con benefici economici relativamente modesti, se paragonati a quelli dei musicisti rock che li hanno presi a modello, alti e bassi dovuti all'alternarsi delle mode e a errori, talvolta, nelle scelte musicali, spesso poco aiutati dalle case discografiche, sfruttati da un mondo del quale non conoscevano a pieno i meccanismi.

B.B. King, quello che ha saputo meglio amministrare, tutto sommato, la sua carriera, ammette di rendersi perfettamente conto del fatto che essere neri costituiva un handicap: indubbiamente i musicisti bianchi, facendo esattamente le stesse cose, ricevevano compensi maggiori e avevano un successo, in genere, molto più ampio; ma il bluesman non mostra alcuna acredine, spiegando filosoficamente la cosa sulla base realistica che i neri, in America, sono comunque una minoranza, per cui non deve sorprendere che la maggioranza preferisca identificarsi, e attribuire in proporzione un adeguato successo, a coloro che quella maggioranza rappresentano, al di là dei meriti puramente artistici che, in molti casi, afferma, non si può mancare di riconoscere, come non si possono negare i propri errori.

Il problema del successo dei musicisti rock, così enorme se paragonato a quello dei bluesmen che li avevano ispirati, può essere oggetto d'indagine sociologica, ma dal punto di vista musicale il riprendere, anche letteralmente, frasi letterarie o musicali di un artista, farle proprie e partire da lì per formare un proprio lessico, fa parte proprio della più pura tradizione blues. Nel mondo rurale da cui provengono la maggior parte dei bluesmen non esistono diritti d'autore, ma solo necessità di espressione, di divertimento, con il musicista che ha il compito d'intrattenere, far ballare, ma anche di fornire spunti di riflessione su problemi comuni, un po' cantastorie, un po' cronista; funzione, quest'ultima, che con il trasferimento nelle grandi città si stempera fino a sparire quasi totalmente, o meglio, a rimanere molto sullo sfondo, implicito ma non in evidenza. Robert Johnson riprende e sviluppa quanto fatto dai suoi predecessori, T-Bone Walker tinge di swing fondamentalmente lo stesso repertorio, le sue frasi sono alla base dello stile di B. B., Albert e Freddy King, per cui non sono sorpresi, ma lusingati, che Clapton, Taylor e Green a loro volta li imitino. Le priorità sono, per un bluesman, mantenere un chiaro legame con la tradizione, ma contemporaneamente sviluppare una voce riconoscibile, un proprio suono, non solo timbricamente, ma come fraseggio, tocco, intenzione ritmica.

Le fonti, per tutti e tre, sono le stesse: il blues rurale e quello elettrico di T-Bone Walker.

Per avere una voce propria uno dei mezzi migliori è fare buon uso dei propri limiti. Nessuno dei tre, infatti, riesce a duplicare pienamente la scioltezza esecutiva e la raffinatezza armonica di T-Bone, che è un riferimento obiettivamente difficile: showman astuto, musicista preparato, in grado di suonare con competenza il pianoforte e la chitarra, esigente negli arrangiamenti, buon cantante e dotato di swing come un jazzista, che per queste doti si propone come un obiettivo irraggiungibile, un po' come accade, nei decenni successivi, per Hendrix, a sua volta un ammiratore di T-Bone.

Altri modelli, pur importanti, come Robert Johnson o Lonnie Johnson, ma anche Chet Atkins, Barney Kessel, Charlie Christian e altri si rivelano altrettanto ardui da imitare, per cui l'unica soluzione è fare dei propri limiti un punto di forza, sublimandoli in un linguaggio più semplice, con meno ambizioni ma capace di tradursi in una voce originale, che tragga la sua ragione d'essere in un legame indissolubile con la personalità di chi lo propone, operazione nella quale, ognuno a proprio modo, tutti e tre riescono in pieno.

Come dice B.B. King, quando si impara a parlare si fanno proprie le frasi e le parole che usano tutti, inserendo nel proprio vocabolario quelle che piacciono di più e creando combinazioni in certa misura uniche; con la musica avviene lo stesso processo. B.B. rimane impressionato dalla tecnica bottleneck del cugino Bukka White, ma per sua stessa ammissione l'uso del ditale sembra poco appropriato per le sue grosse dita, entrando peraltro in conflitto con il desiderio di associare quel suono a fraseggi stile T-Bone; la soluzione è sviluppare un vibrato che evochi l'espressività quasi vocale ottenibile con il bottleneck, con un fraseggio fluido ma essenziale, privo di cedimenti al virtuosismo, per mantenere un elemento discorsivo che complementi il canto, ponendosi piuttosto come una continuazione dello stesso. Lo stile di B.B., piuttosto grezzo nelle prime incisioni, si affina nel tempo e nei primi anni '60 ha un equilibrio già perfetto, con un timbro che sembra una versione più pulita di quello, ben più saturo, poi inaugurato da Clapton nei Bluesbreakers; in seguito diventa sempre più levigato, chiaro, privo di ogni accenno di saturazione, risultando uno dei suoni più eleganti del blues, anche se, in molti casi, forse fin troppo inamidato (concorde, in fondo, con le ambizioni del bluesman, che per tutta la sua carriera intende dare al blues un prestigio pari a quello di altre forme musicali più accettate dalla borghesia, in questo avendo come riferimento cantanti come Frank Sinatra). A influenzare B.B. non sono solo chitarristi blues ma anche Charlie Christian, Django Reinhardt, Louis Armstrong, i sassofonisti delle sue orchestre e tutto finisce per influenzare, in qualche modo, il suo stile, almeno come feeling, se non tradotto esplicitamente in scale specifiche (non di rado azzarda frasi che sfuggono i confini della pentatonica). Come dice King, l'importante è ascoltare e assorbire l'intenzione, l'attitudine e incorporarne qualcosa, può essere una piccola porzione di frase o solo il modo di tenere una nota; esattamente ciò che Clapton, Bloomfield, Rory Gallagher, Duane Allman, Stevie Ray e molti altri hanno fatto ascoltando la sua musica. Per tutti il disco Live At The Regal è la migliore rappresentazione del suono e dello stile di B.B. King, ma non possiamo non indicare anche le incisioni per la ABC del '62, cui una leggera ruvidezza infonde un fascino che manca a quelle successive, con timbri molto belli.

Albert King lascia che l'influenza di T-Bone sia evocata dagli arrangiamenti dei fiati, sviluppando uno stile, alla chitarra, più vicino a quello viscerale del Delta, con un uso magistrale del bending, aiutato dalla forza poderosa delle grosse mani, con un vibrato ampio e molto espressivo, mentre il fraseggio è semplice, affidato a pochi moduli ricorrenti ma capaci di grande impatto emotivo. Albert chiama la sua musica power blues, intendendo mettere l'accento su quanto di viscerale sa trasmettere attraverso la sua chitarra, irruente e sanguigno, incurante dell'occasionale stonatura o delle imprecisioni, trasformando ogni singola nota in un colpo allo stomaco dell'ascoltatore. Uno dei tratti più distintivi è costituito dall'introdurre spesso le frasi, generalmente brevi ma incisive, con un vigoroso bending e scuotere le corde con il caratteristico vibrato.

Il suono è pieno ma chiaro, mai eccessivamente penetrante, con un attacco deciso e un efficace sfruttamento delle capacità di sostegno della sua Flying V. Fra i tre è quello con lo stile più vicino a suggerire la potenza che con la distorsione realizzeranno in pieno i vari Jimmy Page, Clapton, Taylor, Stevie Ray Vaughan, quello che più di tutti riesce a duplicarne il suono, e non sorprende che da Otis Rush a Luther Allison, da Elvin Bishop a Duane Allman, da Gary Moore a Jeff Healey, senza escludere Hendrix, tutti lo citino come un inevitabile punto di partenza, dimostrandogli sempre un affetto incondizionato, esaminando con puntiglio ogni minimo aspetto del suo stile (uno degli studiosi più entusiasti della tecnica di Albert King è Michael Bloomfield).

Freddy King, che negli anni '60 cambia l'ortografia del nome in Freddie, è il più dotato tecnicamente, capace di volate veloci e fraseggi più intricati, con un'evidente maggiore influenza da parte dei musicisti di Chicago unita a un amore per il suono diretto e brillante, con la tentazione al virtuosismo che caratterizza molti musicisti texani. La lezione di T-Bone è ben digerita e un'eccellente capacità di sintesi permette di creare frasi di grande efficacia e facilmente orecchiabili, alla base dei suoi celebri strumentali, facilmente riconoscibili pur essendo invariabilmente costruiti su strutture tradizionali. La tradizione fornisce il materiale che Freddy usa per costruire i suoi brani, attingendo dalla musica che ascolta nei cori in chiesa, dalle improvvisazioni dei jazzisti, qualsiasi cosa di cui possa catturare l'essenza, trasformarla in una frase melodica d'effetto e incorporarla nello schema del blues con un'accurata scelta della scansione ritmica (per sua stessa ammissione Hide Away, il suo brano più famoso, nasce ascoltando un boogie del chitarrista slide Hound Dog Taylor e rielaborandolo con Magic Sam). Eric Clapton, che nei primi anni '60 usava prevalentemente una Gibson ES 335 e una Fender Telecaster, acquista la Gibson Les Paul resa celebre dalle incisioni con i Bluesbreakers dopo aver visto sulla copertina di un disco una foto di Freddy King con una Les Paul; non trovando una Gold Top con i P 90 come quella usata dal bluesman, deve "accontentarsi" di una Sunburst con i PAF. Involontariamente Freddy, che nel frattempo ha sostituito la Les Paul con una ES 345 SV, ispira l'emulo inglese a inaugurare una combinazione, quella di pickup humbucking più amplificatore Marshall, che rivoluziona il suono del rock. John Mayall descrive il suono dei Bluesbreakers come una combinazione degli stili dei tre King, con dosi diverse per ogni chitarrista: un po' più di Freddy e si ha Eric Clapton, una prevalenza di Albert e si ottiene Mick Taylor, un cucchiaio in più di B.B. ed ecco Peter Green. Naturalmente sono molti di più gli elementi che concorrono a formare uno stile: altri, come Earl Hooker, Hubert Sumlin o Otis Rush, influenzati a loro volta dai tre King, non sono meno importanti, senza contare l'influenza di Muddy Waters, Jimmy Rogers, Eddie Taylor, Buddy Guy e molti altri, ma, anche se si tratta di un'evidente schematizzazione, la descrizione di Mayall mette l'accento sull'eredità enorme che i tre King hanno lasciato e che perdura negli stili di chitarristi molto distanti, nel tempo e per genere musicale, come Johnny Winter, Michael Bloomfield, Rory Gallagher, Jeff Healey, Stevie Ray Vaughan, Larry Carlton, Robben Ford, Kenny Wayne Shepherd, facendo capolino perfino nelle cascate di note di John Scofield, Mike Stern e altri.

Mario Milan

Aggiungi commento


Codice di sicurezza
Aggiorna