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Albert King

Il più anziano dei tre è Albert King, ma la sua affermazione avviene dopo quella di B.B., con una lunga gavetta iniziata da fanciullo, con una chitarra costruita partendo da una scatola di sigari per formare la cassa, imparando brani di Blind Lemon Jefferson e Lonnie Johnson. Nato a Indianola, Mississippi, il 25 aprile del 1923, Albert Nelson inizia a suonare professionalmente in Arkansas, all'inizio degli anni '50, epoca in cui assume il nome di Albert King ispirato dal successo Three O' Clock Blues di B.B. King, spesso lasciando intendere di essere un cugino del fortunato collega, cosa di cui questi non sembra risentirsi. Dopo un breve ingaggio come batterista di Jimmy Reed e alcune incisioni che non valgono a farlo notare, si trasferisce a S. Louis, dietro suggerimento di Willie Dixon, nella seconda metà del decennio. Acquistata una Gibson Flying V, denominata Lucy, Albert affina il proprio stile, fatto di bending mozza fiato e del vibrato più personale ed espressivo del blues, che viene presto preso a modello da Jimi Hendrix e Mick Taylor e che trova in Stevie Ray Vaughan il più fedele seguace. Nei primi anni '60 raggiunge buone posizioni nelle classifiche R&B con alcuni singoli; incide un album, The Big Blues, con cui inizia a farsi un nome; ma il successo vero arriva nel '66, con un contratto per la Stax e un album inciso insieme ai Booker T And The MG's, con Steve Cropper alla chitarra ritmica: Born Under A Bad Sign, che raccoglie anche i singoli incisi nei due anni precedenti e uscito nel '68, diventa un disco culto per ogni rocker che si rispetti ed è ancora oggi considerato uno dei lavori migliori di Albert King; Eric Clapton in Strange Brew, su Disraeli Gears dei Cream, uscito un anno prima, gli rende omaggio con un assolo che sembra tratto direttamente da Oh, Pretty Woman, uno di quei singoli.

Nell'esempio mostriamo la versione originale.



Il successo del disco e l'ammirazione di personaggi famosi come Clapton, Hendrix, Taylor procurano al gigantesco chitarrista (1,95 m. per 113 kg. di peso) ingaggi non solo di fronte al pubblico di colore, ma anche nelle grandi arene rock, insieme ai Mothers Of Invention di Frank Zappa, Hendrix, i Bluesbreakers, Janis Joplin, B.B. King, facendolo conoscere al pubblico giovanile; nel '68 incide al Fillmore West di San Francisco, tempio della musica rock del tempo, un album dal vivo, Live Wire/Blues Power.

Dopo un album dedicato a Elvis Presley che non incontra un grande favore e altri lavori poco fortunati, nel '72 incide I'll Play The Blues For You, accompagnato dai Bar Keys e i Memphis Horns, che conferiscono un sapore funky agli arrangiamenti, sui quali svetta la chitarra con gli ormai celebri bending inumani e un suono che rimane fra i più imitati (Stevie Ray spicca fra gli altri nel riuscire a catturarne l'intensità). In seguito la carriera prosegue con alti e bassi, Albert si esibisce spesso con accompagnatori occasionali non sempre all'altezza del compito. Dopo alcuni tentativi di rendere la propria musica più commerciale, senza successo, torna a un blues più semplice, continuando a esibirsi instancabilmente; gli anni '80, nonostante l'annuncio di un ritiro dalle scene, lo vedono più attivo che mai e una recente pubblicazione lo presenta in duetto con Stevie Ray Vaughan dal vivo (In Session, 1983).

Rimasto, per quanto sembri incredibile, senza un contratto discografico, disilluso dopo lunghe storie di guadagni negati, diritti mai ricevuti e altre traversie, sul finire degli anni '80, a causa anche del diabete, riduce in parte l'attività manifestando spesso l'intenzione di ritirarsi, senza peraltro mai farlo davvero. Musicisti come Joe Walsh iniziano una vera campagna per riportarlo in sala d'incisione e anche l'ex-Stones Mick Taylor annuncia, all'inizio degli anni '90, il progetto di un disco con il suo vecchio idolo: ma il 21 dicembre del '92, a Memphis, Albert King è stroncato da un attacco di cuore.

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